Tassinari: ripartire l'occupazione a favore dei giovani.
"Bene porre il lavoro al primo posto e molti punti fondamentali, dalla conciliazione al percorso per un salario minimo e per un contratto a tutele progressive, all'intento di estendere a tutti gli ammortizzatori sociali, al coordinamento delle politiche attive. Ma ora si metta in campo un patto sociale più ampio per interventi che creino lavoro”. Lo afferma Stefano Tassinari, vice presidente nazionale delle Acli e responsabile Lavoro a proposito del ddl lavoro del Governo in discussione al Senato.
“Serve un piano di politica industriale, che potremmo chiamare Italia 2020, centrata sull'innovazione e sul saper fare italiano, per creare lavoro stabile e di qualità.
Servono, inoltre, - prosegue il vice presidente Tassinari - misure per "lavorare meno lavorare tutti" partendo dall'ingresso dei giovani a part time a fianco di lavoratori bloccati dalla riforma delle pensioni (che trattiene sul mercato del lavoro più di 600.000 persone che aspettavano di andare in pensione, laddove circa 600.000 sono i giovani disoccupati fino a 24 anni) che possano andare in pensione part time. Se lavorassimo in media ogni anno quanto in Germania ci sarebbero 4 milioni di lavoratori in più. Se non si redistribuisce il lavoro la rivoluzione tecnologica ridurrà sempre più anche il lavoro dei colletti bianchi.
Ciò che manca veramente è la fiducia delle famiglie senza la quale non ripartono né l'economia né gli investimenti e la fiducia delle famiglie è legata al numero di occupati stabili, su quanti non vivono solo alla giornata. Oggi lavorano stabilmente solo circa 1 cittadino su 3, troppo pochi”.
Sulle misure che riguardano contratti e flessibilità – conclude Tassinari - crediamo vada reinserito il ruolo della formazione nell'apprendistato. Inoltre, occorre chiedersi se sia proprio l'assenza di flessibilità il problema: le imprese non assumono o assumono meno non per i vincoli, ma semplicemente perché non c'è lavoro da dare, perché l'economia è bloccata dalla domanda interna, ed è bloccata dalla sfiducia delle famiglie e delle persone, sulle quali forse si è troppo scaricato il tema della flessibilità e della assenza di competitività del sistema Paese”.